La prima macchina per scrivere, la ricordo come fosse ieri, era una Lettera 22. Bellissima e verde, con il caratteristico odore del nastro inchiostrato, era della zia che, da brava contabile, batteva impeccabilmente le fatture digitando ad un velocità che mi lasciava a bocca aperta. Mi innamorai di quell’oggetto, lo volli. Lo desideravo più della bicicletta nuova, più dei pattini a rotelle e fu il regalo di promozione al primo anno delle scuole medie.

Al posto della Lettera 22, arrivò una nuova, fiammante Lettera 35. Bianca, massiccia, protetta da una grossa valigia nera, mi sembrò subito l’oggetto che mi conduceva di diritto nel mondo dei grandi.

Presto scoprii che diventare una dattilografa provetta come la zia costava fatica e anche parecchie dita incastrate tra un tasto e l’altro nel tentativo di emulare la velocità digitazione. Non importava, da quel momento in poi nessuna ricerca per la scuola venne più scritta a mano, mi balenò persino l’idea di scrivere un libro; un esperimento miseramente naufragato.

La mia Lettera 35 è ancora là, nell’armadio dei ricordi tra le cose preziose di cui è impossibile sbarazzarsi, un po’ perchè è parte della mia vità, un po’ perchè il tempo non è in grado di fare invecchiare i prodotti di qualità e i grandi marchi, semmai aggiunge loro ulteriore fascino e valore.