Ognuno di noi è generatore di storie.

La nostra vita, la nostra esperienza quotidiana si compone di un susseguirsi di eventi, fatti, incontri, singoli episodi che noi istintivamente tendiamo ad unire, concatenandoli uno all’altro, attraverso nessi di causalità, consequenzialità, casualità. Ogni elemento, per quanto interessante possa essere, assume un senso più esatto alla luce degli altri elementi che lo circondano: di ciò che viene prima e di ciò che viene dopo; come tasselli di un mosaico, che solo uniti permettono di mostrare il disegno completo.

Come questi tasselli vengano giustapposti, dipende dall’immagine che vogliamo costruire, dal senso del colore e della forma, dagli effetti di luce e di ombra che vogliamo creare e dalla volontà che questa immagine sia più o meno comprensibile ad altri, in altre parole dall’ambiente culturale in cui viviamo.

Abbiamo quindi un’esigenza innata al racconto e un’influenza culturale sullo stile del racconto.

In questa prospettiva, come si colloca la comunicazione aziendale? I prodotti possono essere visti come tessere del mosaico, elementi della narrazione? E in caso affermativo, quale importanza rivestono?

Nel suo bel libro Comprendere il consumo, Laura Minestroni spiega in maniera chiara la relazione tra beni materiali e racconti immateriali: “L’agire di consumo è un atto esistenziale e complesso, un moto umanissimo mediante cui l’individuo non si limita a soddisfare un bisogno materiale, ma si esprime e si realizza, genera del significato, produce e veicola segni, “geroglifici sociali”, comunica se stesso in mezzo agli altri…esprime una Wetlanschauung, una visione del mondo, una cosmologia.” E ancora: “Consumare è un po’ parlare: è un linguaggio con una sua semantica e capace di rendere intellegibile il mondo che ci circonda e di cui ci serviamo per comunicare”.

Il consumo non è più visto come un modo per soddisfare bisogni primari, né come uno strumento per combattere la lotta di classe. Oggi i prodotti e i servizi, dalle scarpe che indossiamo ai libri che leggiamo, dai luoghi che visitiamo al tipo di pasta che abbiamo nel piatto, servono per definire la nostra identità: chi siamo e come ci rapportiamo col mondo.

Per questo chi compra una sedia non vuole – solo – un oggetto su cui sedersi, ma vuole un prodotto che possa inserirsi armoniosamente nel suo racconto autobiografico fatto di attenzione all’ambiente, piuttosto che di conoscenza della storia dell’arte, di sostegno ai Paesi in via di sviluppo o di passione per le finiture artigianali tipicamente italiane. Possedere un iPhone6 non è soltanto avere un telefono che fa molte cose, tra cui anche il telefono, ma è definire se stessi e la propria appartenenza ad un dato sistema di valori.

I prodotti diventano quindi narrazioni, che definiscono legami immaginari tra coloro che li possiedono, creando appartenenza ad una sorta di clan ed assumono così una valenza totemica: esistono prima come concetto mentale e poi come oggetto.

Esplicitare il racconto associato al prodotto è il compito di chi oggi si occupa Marketing e Comunicazione, un compito importante, determinante per definire gli attributi essenziali del bene e renderlo quindi idoneo per specifici mercati e consumatori.


Quanto conta la narrazione nella vostra strategia di comunicazione? Vi occorre supporto nel creare “racconti” efficaci? Lasciate un messaggio!