In tutta Europa, Ottobre è il mese della sicurezza informatica.

C’è un sito apposito https://cybersecuritymonth.eu/ in cui possono essere visualizzate tutte le attività che i diversi Paesi mettono in atto per sensibilizzare sul tema della sicurezza dei dati.

L’Italia spicca per vivacità, essendo il secondo Paese, subito dopo la Germania, a promuovere più iniziative; tra queste, inizia oggi a Milano  #VivInternetAlSicuro promossa da Google insieme a Polizia Postale e delle Comunicazioni, Altroconsumo e Accademia italiana del codice di internet, con il duplice obiettivo di sensibilizzare e formare gli Italiani all’utilizzo di strumenti per la tutela della sicurezza dei dati sul web e, nel contempo, stimolare un dibattito informato sui temi della privacy e della sicurezza online attraverso convegni e incontri nelle principali università italiane.

Come si intuisce, non si sta parlando di un mese in cui esperti informatici si incontrano in convegni per dibattere su quali siano le misure più sicure per la protezione dei dati e per ridurre al minimo le vulnerabilità di un sistema, si tratta invece di una iniziativa che punta a coinvolgere gli utenti, le scuole, le università in un dibattito sulla sicurezza, che non è più solo tecnico, ma che è ormai prevalentemente culturale.

La Rete, infatti, non può più essere vista come un luogo virtuale altro da noi: noi tutti viviamo quotidianamente l’esperienza di un ambiente digitale in cui siamo immersi e dove la tecnologia è un fattore abilitante destinato a diventare sempre più trasparente, le istanze di sicurezza e di privacy non possono quindi essere demandate ad altri, ma devono diventare domande che poniamo a noi stessi e che ci spingono ad assumere comportamenti responsabili.

In altre parole, il mese della sicurezza informatica, sottolinea come oggi sia necessario creare una cultura digitale in cui ogni utente abbia la piena consapevolezza delle proprie azioni.

Significa quindi che siamo individui – digitalmente – incoscienti? E se è così, cosa possiamo fare per rimediare?

In primo luogo dobbiamo ragionare sulle cause.

IoT

La proliferazione di dispositivi connessi, che comunicano tra loro informazioni che ci riguardano, sia quando noi lo richiediamo che quando noi non lo sappiamo, porta in rete una miriade di dati, pronti per essere letti, analizzati e interpretati da algoritmi predittivi capaci di suggerirci risposte e soluzioni “su misura”.

Tutto ciò ci semplifica la vita quando non dobbiamo più cercare un’edicola aperta la sera, per comprare il biglietto del tram, perché basta avvicinare il nostro smartphone alla obliteratrice; quando torniamo dalle vacanze e ci basta mandare un messaggio alla caldaia per sapere che avremo l’acqua calda o quando pronunciamo “OK Google” e una voce gentile risponde alle nostre richieste più disparate.

Il tutto, magicamente, gratis!

Sì, certo, probabilmente abbiamo scaricato qualche App, ma non abbiamo messo né il nostro indirizzo, né il numero di carta di credito, per cui la sicurezza e la privacy, a nostro insindacabile giudizio, sono salve! Ma poi ci viene il dubbio….

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Social Media

Siamo umani. Antropologicamente noi definiamo noi stessi tramite un sistema di rapporti più o meno complesso: siamo alti o bassi, magri o robusti, veloci o lenti rispetto a…. Il rapporto, così come ce lo insegnano a scuola, è un’entità rispetto ad un’altra ed è su questa base, che noi costruiamo le nostre relazioni personali.

I Social media hanno spinto al parossismo questa esigenza di relazione, creando in molti il bisogno morboso di essere presenti agli altri.

Da qui il moltiplicarsi di messaggi, condivisioni, commenti, la necessità di essere sempre connessi, di non essere esclusi da imprescindibili conversazioni… due ore al giorno passate sui Social, quasi tre nella fascia di età tra i 16 e i 24 anni.

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Anche in questo caso, milioni di dati personali che lasciamo evaporare da noi stessi verso la grande nuvola, che tutto registra, cataloga, analizza e sfrutta commercialmente.

Beninteso, il tutto in modo legale, visto che si tratta di servizi a cui ci si iscrive spontaneamente, per lo più a titolo gratuito, sottoscrivendo un lungo documento in cui sono illustrati nel dettaglio i termini e le condizioni di utilizzo.

Così, periodicamente, partono, su quelle stesse piattaforme, delle speciali “Catene di Sant’Antonio” in cui utenti allarmati, condividono, con tanto di punti esclamativi, testi pseudo-legali in cui dicono espressamente che NON SI AUTORIZZA la piattaforma a usare determinate informazioni che loro stessi hanno condiviso….

Siti Internet

Va bene, facciamo a meno della domotica, delle App e perfino dei Social Network, ma nel 2016 non si può prescindere da Internet!

Se non siamo in qualche modo connessi all’ambiente digitale, rischiamo davvero di essere fuori dal tempo, tant’è che perfino il Garante della Privacy sottolinea la necessità di garantire a tutti il diritto di accesso alla rete.

Certo è che ogni volta che ci colleghiamo alla Rete, lasciamo tantissime tracce della nostra presenza e altrettanto certo è che chi gestisce i siti ha interesse ad analizzare queste tracce e a seguirle per arrivare fino a noi, prevalentemente con scopi promozionali e di marketing. Chi difende la privacy e la sicurezza dei dati?

Dal 2014 esiste in Italia una normativa in materia di cookie: è necessario che l’utente acconsenta, dopo aver letto una informativa, alla raccolta dei dati sui suoi percorsi di navigazione on line. Va detto che i cookies non sono tutti uguali e che alcuni sono necessari per garantire la corretta fruizione del servizio on line, così come vale la pena di sottolineare che le informative non sono riassumibili nei 140 caratteri di un Tweet e spesso gli utenti dimostrano una certa pigrizia nel leggerle fino in fondo.

Il risultato? Dopo aver visitato un sito di arredamento, è molto probabile che durante la navigazione vedremo comparire annunci pubblicitari di sedie, divani, poltrone e se cerchiamo una pizzeria, Google sarà in grado di suggerirci quella più vicina a casa.

Così molti utenti non ci stanno e prendono le dovute contromisure: siti in incognito, cancellazione dei cookies, blocco degli annunci pubblicitari e appositi tool per non essere tracciati.

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La stessa Google, che, come si diceva all’inizio, è in giro in questi giorni per l’Italia con un tour per parlare di sicurezza dei dati, da poco più di un anno ha introdotto sui Google Account, le opzioni “Controllo Privacy” e “Controllo Sicurezza”, attraverso le quali l’utente può verificare e modificare i dati che Google utilizza per personalizzare l’esperienza di navigazione e decidere quali informazioni condividere o rendere pubbliche.
È evidente, che quanto più stringenti sono i controlli e le limitazioni, tanto meno gratificante sarà la cosiddetta User Experience, ma è ciò che gli economisti definiscono trade off e siamo noi a dover prendere una decisione.

Gli esempi citati non esauriscono il tema della sicurezza informatica, ma evidenziano come, al di là degli hacker e dei cyber-criminali, spesso siamo noi stessi a mettere a rischio la nostra privacy, con comportamenti superficiali che dimostrano quanta strada ci sia ancora da fare per arrivare ad una cultura digitale condivisa. 

Fintanto che non acquisiamo la consapevolezza del fatto che in una società digitale, sono i dati che ci rappresentano e che non possiamo delegare ad altri la tutela della nostra identità, ma dobbiamo essere noi per primi a prendercene cura, saremo più facilmente soggetti a violazioni della nostra privacy o della nostra sicurezza.

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