il futuro dei social network
 

Predire il futuro, si sa, non è cosa semplice. Nell’antichità si ricorreva alla Pitia o alla Sibilla, donne dai poteri divinatori, che fornivano – sotto compenso – vaticini, spesso sufficientemente oscuri da poter essere interpretati solo a cose avvenute. In tempi più moderni, la cultura popolare, ha chiamato in causa maliarde e fattucchiere capaci di leggere il futuro nelle carte, nei fondi di caffè o nella più emblematica sfera di cristallo.

In ogni caso, l’attendibilità dei risultati pareva alquanto dubbia, così si cercarono approcci più scientifici, e si iniziarono ad analizzare le serie storiche per creare modelli in grado di definire le tendenze future. Tuttavia, l’esperienza dimostrò che, quando nel modello entravano variabili non previste, l’intero impianto veniva messo in crisi e gli interrogativi sul futuro apparivano ancora più inquietanti.

Prendiamo il caso dei Social network.

Fino a 20 anni fa, semplicemente, non esistevano. Nacquero come evoluzione dei Blog agli inizi degli anni 2000 e in pochissimo tempo conquistarono uno spazio di tutto rilievo in ambito sociale, economico e politico. Furono LA novità del millennio.

Negli anni hanno spopolato tra i giovani e i meno giovani, hanno vissuto un’ascesa inarrestabile e per questo sono diventati la meta ambita delle agenzie media, che hanno dirottato su essi buona parte dei budget pubblicitari dei loro clienti.

I Social Network sono oggi parte integrante della vita di milioni di persone.

I numeri parlano da soli: il 42% della popolazione mondiale usa attivamente le piattaforme social. Ci sono 2,2 miliardi di utenti Facebook, 1,5 miliardi su YouTube, 1 miliardo su Instagram e su Twitter, quasi 600 milioni su Linkedin. Più di un miliardo di utenti si collega quotidianamente a Facebook, mezzo miliardo ad Instagram, 330 milioni a Twitter. In Italia, su una popolazione di circa 60 milioni, ci sono 34 milioni di utenti social, 3 milioni in più dell’anno scorso.

Nel corso degli anni la crescita in termini di utenti, di profili aziendali, di contenuti postati e condivisi è stata macroscopica e rapidissima.

Eppure, forse, qualcosa sta cambiando.

L’8 ottobre scorso, Google ha annunciato che la versione consumer di Google+ sarà chiusa. La piattaforma social di Big G non ha mai riscosso il successo sperato: il numero di utenti attivi al mese si è attestato a poco meno di 400 milioni, cifra rilevante, ma che non giustifica i costi di mantenimento della piattaforma. Inoltre, come la stessa Google ha comunicato, il 90% delle sessioni aveva una durata media di 5 secondi e questo, per Google, che considera il bounce rate alto come indicatore della scarsa qualità di un sito, poteva significare una cosa sola: chiusura dell’attività.

Facebook, da parte sua, non sta vivendo il periodo più semplice della sua esistenza: dopo lo scandalo di marzo 2018 relativo a Cambridge Analytica, che ha portato Mark Zuckerberg di fronte al Congresso degli Stati Uniti ed al Parlamento Europeo, all’inizio di ottobre Facebook ha denunciato un attacco alla piattaforma, tramite una criticità nella funzione del profilo “visualizza come”. Circa 30 milioni di profili sono stati violati.  

Si torna così a parlare di privacy e sicurezza informatica, anche alla luce di quanto prescritto dal GDPR, entrato in vigore in primavera, e diversi utenti iniziano a chiedersi se valga davvero la pena rimanere in una rete sociale virtuale, che inizia a sembrare un po’ stretta.

Secondo una ricerca di Global Web Index , il 32% degli utenti in USA e UK hanno disattivato o chiuso un account social negli ultimi 12 mesi. In Italia il fenomeno non è ancora evidente, tuttavia la ricerca “Come cancellare il profilo / account Facebook” su Google è cresciuta del 70% rispetto all’anno scorso, segnale che più di un utente ci sta almeno pensando.

È solo un problema di privacy? Sicuramente la protezione dei dati personali è un elemento di criticità, tuttavia la maggior parte di chi interagisce sui social è consapevole del fatto che sta rinunciando a un po’ della propria privacy, pur di partecipare alla grande conversazione di piazza.

Serve quindi guardare un po’ più in là.

La crisi che oggi sta lambendo i social network è più profonda e si nasconde nei contenuti.

Torniamo un po’ indietro nel tempo. I social nacquero, così vuole la leggenda, per mettere in contatto persone con amicizie, interessi ed esperienze comuni. Facebook era il posto dove ritrovare i vecchi compagni di scuola, Linkedin quello dove restare in contatto coi vecchi colleghi e creare una rete di contatti professionali, Twitter il mondo del micro-blog dove condividere messaggi nella bottiglia e trovare risposte inaspettate.

Ma poi le comunità crebbero e divennero, come già accennato, un target molto appetibile per le aziende di pubblicità a cui non sembrava vero di avere a disposizione una profilazione di clienti potenziali così puntuale ed aggiornata. Di lì a poco anche la politica si accorse dell’incredibile potenziale dei social e così candidati di diversi schieramenti e colori, ci si tuffarono a bomba, incuranti, o forse no, dello spostamento d’acqua che avrebbero provocato.

Quindi, mentre gli utenti della prima ora vivevano un fisiologico calo di entusiasmo e iniziavano a ridurre il tempo della condivisione attiva a favore di quella passiva, creando sempre meno contenuti originali, le aziende scoprivano gli annunci social, personalizzabili, modificabili, flessibili e ingaggiavano talentuosi Social Media Manager per stimolare le conversazioni attorno ai propri marchi e prodotti. I giornali, da parte loro, trovavano i Social media ottimi veicoli di traffico verso i loro siti e imparavano a creare post intriganti, accattivanti, capaci di stimolare la reazione corretta, ovvero il fatidico “click”.

Così, in maniera ineluttabile, i social, da luogo virtuale dove socializzare con amici e conoscenti, diventavano il posto dove trovare le notizie del giorno, i video divertenti per riempire un po’ di tempo libero, le informazioni sui prodotti, le recensioni sui marchi.

L’utente medio, da creatore di contenuti si trasformava in commentatore.

Chi utilizza i social network con una certa frequenza sa di cosa parlo. In fondo non è strano: anche nella piazza del paese è più semplice sedersi al bar a fare commenti su quelli che passano, piuttosto che intavolare una conversazione su un tema originale. E c’è chi questo lo ha capito benissimo e opportunisticamente porta in piazza ciò che cattura l’attenzione e stimola il commento superficiale.

La piazza si anima, la gente mormora, ride, deride, addita. Il rumore sale. La confusione viene scambiata per vitalità. Chi non ha nulla da dire, scompare. Chi urla, si distingue nella folla.

Ma poiché la piazza è virtuale, qualcuno, con un lampo di genio, decide di forzare un’ulteriore distorsione: nascono i profili falsi, sagome portate in piazza per aumentare la confusione o falsi commentatori che distribuiscono false notizie o falsano quelle vere esasperando i toni, usando slogan e luoghi comuni, che tra persone reali ci si vergognerebbe di pronunciare.

L’ambiente diventa tossico. Chi può si allontana dalla piazza e torna in casa chiudendo bene le finestre.

È chiaro ormai quanto si è andati lontano dall’idea iniziale di comunità di amici felici, che si raccontano il tempo che passa.

I Social network lo sanno. Sanno che devono adottare delle contromisure. Ne va della loro stessa sopravvivenza: una piazza desolatamente vuota non è proprio “social”. La sorte di Google+ è il monito per tutti.

Basta fare un giro sui blog delle principali piattaforme per capire che il problema è sentito.

“Creiamo insieme nuove regole, per garantire una conversazione pubblica sana”  Twitter, 25 settembre 2018 

“Nuovi strumenti per contrastare il bullismo e diffondere la gentilezza su Instagram”  Instagram, 9 ottobre 2018 

“Cancellazione di attività non autentiche su Facebook” Facebook, 11 ottobre 2018

I primi risultati non sono incoraggianti: gli algoritmi e l’intelligenza artificiale faticano a discernere i contenuti pericolosi, perché non sono in grado di padroneggiare le insidie della retorica, le sfumature della lingua, i toni del discorso.

Il futuro dei Social dipende quindi dalla velocità di reazione delle piattaforme e da quella degli utenti. Se saranno più rapide quelle a ripulire l’ambiente dalle troppe contaminazioni o questi a scappare da un luogo diventato tossico.