Recentemente ho letto sul sito Treccani, un interessante approfondimento sul linguaggio e la comunicazione dei politici italiani.

La riflessione parte dal saggio del linguista Giuseppe Antonelli, dal titolo “Volgare eloquenza” che analizza l’evoluzione, o meglio la regressione del linguaggio politico, passato in pochi anni dal paradigma della superiorità, in cui i discorsi erano volutamente aulici, infarciti di termini ricercati e di dotte citazioni, al paradigma del rispecchiamento, dove il tono è eccessivamente informale, condito da volgarità, semplificazioni grossolane e riferimenti alla sotto-cultura pop.

Treccani analizza, con interventi di studiosi del linguaggio e della comunicazione, i discorsi di Renzi, Berlusconi, Salvini, Meloni e Grillo. Pur con alcune differenze, il tratto comune è un’eloquenza rozza, semplicistica, a tratti aggressiva.

  • Spariscono le riflessioni basate sui fatti: la realtà diventa relativa, le si preferisce il racconto, il cosiddetto “Storytelling”, con tutta la sua valenza simbolica ed emotiva.
  • Spariscono le argomentazioni, presupposto del confronto e della discussione, a favore degli slogan, che inevitabilmente banalizzano i contenuti e portano alla disputa, allo scontro, se non addirittura all’annientamento della controparte, liquidata da epiteti (i gufi di Renzi), da alzate di spalle (i chissenefrega di Salvini), da parolacce (i vaffa di Grillo).
  • Sparisce infine, ma solo come artificio retorico, la differenza tra oratore e uditorio, stuzzicando così il narcisismo di quest’ultimo che, riflettendosi nel primo – senza riflettere – se ne invaghisce, pronto a sostenerlo in ogni estemporanea presa di posizione.
Queste derive del linguaggio non sono una novità, tuttavia è plausibile che i meccanismi alla base della comunicazione sul Web, le rendano più veloci, più insidiose e sicuramente più diffuse.

Internet è senza dubbio la più grande rivoluzione nella comunicazione dai tempi di Gutenberg. Permette di accedere in tempo reale a una quantità infinita di notizie, permette di condividerle e di commentarle con un altissimo grado di libertà. Ma proprio questi punti di forza concessi dalla tecnologia, possono lasciare spazio a grandi fragilità in termini di contenuti: nel mare magnum delle informazioni, si fatica a distinguere il vero dal falso, l’autorevolezza degli autori non si basa sulle competenze, ma sui “like”, l’attenzione si cattura puntando sulle emozioni e non sulla razionalità, le emozioni sono esse stesse semplificate, standardizzate, neutralizzate negli emoji.

Sembra quindi che il linguaggio – quello politico, come si è detto, rispecchia quello del popolo – sia determinato dal mezzo, confermando l’intuizione che Marshall McLuhan ebbe esattamente mezzo secolo fa.

Tuttavia, proprio lo speciale di Treccani, da cui sono partita, è la dimostrazione che non esiste un determinismo tecnologico e che anche sul Web c’è spazio per la riflessione e l’analisi.

La questione non è il mezzo, ma il livello della cultura di massa e del linguaggio che la rappresenta.