La comunicazione empatica

Cosa significa comunicare in modo empatico?

Per comunicazione empatica, si intende la capacità di basare i meccanismi di comunicazione sulla comprensione immediata della psicologia dell’altro.

Tale modalità è particolarmente efficace, perché l’interlocutore ha l’immediata percezione di essere di fronte a qualcuno capace di comprendere in profondità le sue esigenze ed è quindi ben disposto all’ascolto e alla possibilità di aprirsi ad un nuovo punto di vista. Per produrre tale percezione, la comunicazione empatica solitamente parte dall’identificazione di una esigenza, che è tipica di chi abbiamo di fronte, e si sviluppa nella presentazione di una possibile soluzione. Quanto più la soluzione è semplice ed è sostenuta da persone influenti per il nostro interlocutore, tanto più facile sarà convincere quest’ultimo che quella è LA soluzione al suo problema.

Questo meccanismo, che è alla base di moltissime teorie di marketing e vendita, ha assunto una nuova dimensione con la nascita dei sistemi di intelligenza artificiale capaci di metterlo in atto.

La comunicazione empatica delle macchine

Qualche mese fa all’evento Google I/O per gli sviluppatori, si è parlato, tra le altre cose, di Google Duplex, un sistema capace di gestire una conversazione telefonica con uno sconosciuto, riuscendo a comprendere i diversi livelli del linguaggio: dalla sintassi alla semantica fino a raggiungere il livello di comunicazione empatica. Questo il video: https://youtu.be/bd1mEm2Fy08

Guardare video come questi provoca un misto di ammirazione e di disagio.

Da un lato c’è la stima incondizionata per le menti degli ingegneri, che producono dispositivi così sorprendenti, mista a qualcosa di simile a ciò che avranno provato i primi passeggeri di un treno o i primi spettatori di un film dei fratelli Lumière: stupore, meraviglia.

Dall’altro lato però c’è una sorta di inquietudine.  – Non è un caso che il CEO di Google Sundar Pichai, nell’introdurre l’evento, abbia sottolineato più volte il senso di responsabilità di chi è all’avanguardia nello sviluppo tecnologico.

Perché se una macchina diventa capace di comprendere i meccanismi psicologici dell’uomo con un livello di approssimazione così elevato, quella macchina sarà in grado di convincere quell’uomo a compiere determinate scelte, ovvero sarà in grado di manipolarne il pensiero, le azioni, i comportamenti.

Rispetto alla comunicazione empatica tra individui, la macchina parte con un enorme vantaggio: in primo luogo può registrare ed elaborare una miriade di informazioni sui comportamenti umani, molte più di quelle che una persona può sperimentare in una vita intera ed è quindi, incredibilmente, più smaliziata di qualsiasi umano; in secondo luogo la macchina non indugia nelle debolezze tipicamente umane: non ha vizi, non ha preconcetti, non le fa male la schiena, non ha avuto una brutta giornata al lavoro, non ha problemi a casa, non ha un mutuo da pagare… insomma è sempre in grande forma per intavolare una conversazione convincente, cosa che non possiamo dire di noi stessi.

La possibilità che una persona possa trovare più semplice e confortante relazionarsi con un sistema di Intelligenza Artificiale piuttosto che con un’altra persona in carne ed ossa non è così remota, ma, dobbiamo chiederci, è auspicabile?

Il marketing del compiacimento

Per chi si occupa di marketing l’occasione è ghiotta. Dopo decenni di ricerche di mercato, interviste e analisi, si ha finalmente una tecnologia che permette di persuadere il consumatore, partendo esattamente da ciò che lui stesso desidera, indirizzandolo verso uno specifico oggetto, tra i molti in grado di appagare il suo appetito; una tecnologia che segue il consumatore ovunque e in ogni momento, dialogando con lui e minimizzando ogni possibile dissonanza post-acquisto; una tecnologia in grado di produrre – finalmente – clienti pienamente soddisfatti.

Non è così? Siamo onesti! Quando Google trova per noi, in una frazione di secondo, proprio quello che stavamo cercando, quando l’assistente vocale risponde perfettamente alle nostre richieste o quando Google Maps ci permette di evitare ore di coda, segnalandoci tempestivamente ogni possibile intoppo sulla strada di casa, non siamo davvero molto soddisfatti? Io sì.

Ma è proprio lì che si annida l’insidia.

Il paradosso della comunicazione empatica

Perché, come ben spiega Miguel Benasayag nel saggio “Il cervello aumentato, l’uomo diminuito”, quella tecnologia è in grado di attivare i circuiti dopaminici della ricompensa, creando dipendenza e stati di mancanza chimica, come in qualunque forma di dipendenza molecolare. La ricerca compulsiva degli stimoli che arrivano dalla rete, della “compagnia” virtuale di un assistente vocale o di un personaggio conosciuto solo on line, la necessità di essere sempre connessi, di avere davanti agli occhi interminabili stimoli visivi, di trovare subito la risposta ad ogni stupida domanda che ci viene in mente, sono i sintomi di una nuova nevrosi collettiva. Si chiama FOMO Fear Of Missing Out, ed è la paura di essere tagliati fuori, di essere privati di qualcosa di importante non appena si abbandona il proprio smartphone per qualche minuto

Quella tecnologia, così empatica nel comunicare, conduce paradossalmente ad una maggiore insoddisfazione, a insofferenza, a veri e propri stati di ansia. Limita la creatività, riduce la capacità di agire, aumenta il senso di disagio.

Così, allo stesso evento Google I/O, vengono presentate nuove App, che inibiscono ad un uso eccessivo dello smartphone, che lo disattivano in automatico dopo una certa ora, che cambiano i colori dello schermo durante la notte, che avvisano quando si sta superando una soglia massima di ore trascorse sui social, e così via.

La tecnologia che si auto-limita, perché l’umano pare non essere in grado di farlo. Non proprio così rassicurante, come vorrebbe essere.