Da settimane il Coronavirus è diventato il tema conduttore del dibattito pubblico e della vita di milioni di persone, il motivo è chiaro: per la prima volta nella storia recente, ci troviamo ad affrontare un’epidemia globale, che ha messo a nudo la nostra impreparazione e i nostri limiti.
In un mondo che si credeva “al sicuro” capace di prevedere con estrema precisione gli eventi, grazie ad algoritmi e modelli predittivi estremamente sofisticati, un virus ha violentemente sconvolto ogni certezza, anche quelle che fino all’ultimo tentavano di resistere. Quasi tutti i Paesi del mondo si sono trovati coinvolti, o meglio stravolti da una drammatica emergenza sanitaria che sta causando decine di migliaia di vittime.
LE REAZIONI DEI CONSUMATORI ALLA PANDEMIA
Un’epidemia non è solo un fatto medico-sanitario, è anche un fatto politico, economico, sociale.
Al buio della scienza che ancora fatica a trovare risposte efficaci al contenimento del Coronavirus, fa da contraltare il silenzio del mondo culturale, che pare attonito, incapace di formulare un pensiero, una possibile interpretazione per contenere il disagio che milioni di persone stanno vivendo.
In questo vuoto, analizzare i dati, può sembrare un approccio troppo pragmatico e troppo poco emozionale, ma i dati, se usati correttamente, possono aiutare a capire e a prendere decisioni. Per questo ho letto con molto interesse il report prodotto da Global Web Index, che nel mese di marzo ha condotto 12.500 interviste in 13 diversi Paesi, per dare voce ai consumatori che stanno vivendo questa emergenza, per verificare lo stato d’animo nei diversi Paesi rispetto alla gravità della situazione, alle prospettive future, ai comportamenti di acquisto, alle aspettative verso i Governi e le aziende locali o internazionali.
Il report è scaricabile gratuitamente a questo link
Alcuni dati sono quasi scontati: poiché in molti Paesi le persone sono invitate o obbligate a stare a casa, il 95% degli intervistati dichiara di aver cambiato i propri comportamenti, di aver aumentato in modo consistente il tempo trascorso sui social media, sulle app di messaggistica istantanea, ma anche di guardare molti più film e programmi TV e di dedicare tempo a leggere libri o giornali.
UN CAUTO OTTIMISMO
Ci sono però altre evidenze particolarmente interessanti e affatto scontate. In primo luogo un cauto ottimismo nella maggior parte dei Paesi maggiormente colpiti dal Coronavirus, su come la crisi sarà superata all’interno dei propri confini, fiducia che invece è nettamente inferiore se viene chiesta un’opinione sulla soluzione della crisi a livello globale.
Si tratta di incoscienza o sottovalutazione del pericolo? Non penso, credo piuttosto che una delle ragioni con cui si può spiegare questo atteggiamento sia che, al di là della retorica bellica spesso utilizzata dai mezzi di informazione, la percezione della popolazione è che, al momento, nonostante i drammatici esiti della malattia causata dal Coronavirus, le persone si rendono conto di non vivere in uno scenario di guerra, poiché è garantito l’accesso sia ai beni di prima necessità che a numerose fonti di informazione locali, nazionali o internazionali. La crisi al momento è forte e tragica nell’ambito igienico – sanitario e questo si ripercuote sul fatto che i beni non disponibili sono essenzialmente le mascherine protettive e i gel igienizzanti.
LE AZIONI CHE LE AZIENDE POSSONO INTRAPRENDERE
In questo scenario, ai consumatori è stata chiesta una valutazione sulle risposte contro il Coronavirus messe in atto da Governi, multinazionali, aziende locali, compagnie aeree, banche, social media e dalla popolazione.
In generale, dalla ricerca emerge soddisfazione da parte dei consumatori su quanto fatto fino ad ora, soprattutto dalle multinazionali, ma con alcune aree di miglioramento, che possono diventare importanti spunti per indirizzare le aziende nelle strategie di comunicazione di breve e medio termine.
La Responsabilità sociale delle aziende è stata messa alla prova da questa epidemia e i consumatori sembrano particolarmente attenti a verificare se alle dichiarazioni fatte in passato, ora corrispondono i fatti.
In particolare alle aziende viene chiesta una maggiore flessibilità nei termini di pagamento, la fornitura di alcuni servizi a titolo gratuito, la chiusura di punti vendita o fabbriche per ridurre le possibilità di contagio e in alcuni casi anche la riconversione delle linee produttive nelle fabbriche a supporto dell’enorme sforzo che il personale sanitario sta sostenendo sia negli ospedali che sul territorio.
Ai Social media, il cui livello di approvazione è il più basso, tra quelli censiti, viene invece chiesto uno sforzo maggiore nel fornire un’informazione corretta e completa, a riprova del fatto che ormai da mesi i Social non sono più – solo –il luogo dove rimanere in contatto con parenti e amici, ma un importante veicolo di informazione.
Sia Facebook che Twitter hanno creato un’area dedicata alle informazioni sul virus, alimentate prevalentemente dai comunicati pubblicati dal Governo, Ministero della Salute, Protezione Civile e Organizzazione Mondiale della Sanità,
Molte aziende si sono dimostrate reattive e capaci di dare risposte all’emergenza, ancor prima dei Governi nazionali, con donazioni, elargizioni ai dipendenti, attività sul territorio, chiusure dei punti vendita, attività di sostegno al reddito e molto altro ancora.
È ancora presto per dirlo, ma questo momento drammatico potrebbe portare ulteriori sviluppi nel rapporto tra aziende e consumatori: da una parte imprenditori “illuminati” che comprendono il valore della fiducia reciproca e che si preoccupano del benessere dei propri lavoratori e della società in cui operano – un po’ riprendendo alcuni esempi virtuosi dell’imprenditoria italiana del secolo scorso – dall’altra consumatori-cittadini più consapevoli e capaci di influire sul successo di un marchio sulla base della qualità del marchio stesso, ovvero sui prodotti, ma anche sulla sostenibilità e sulla responsabilità sociale delle aziende.