Antropologia digitale – un nuovo approccio di marketing

Recentemente GWI ha pubblicato una bella ricerca sulle principali tendenze di mercato per il 2020.

Il documento affronta diversi ambiti: dal futuro del negozio tradizionale a quello dell’assistenza medica, dalle criptovalute all’indice di fiducia nell’economia, ma il filo conduttore che, come dice il titolo della ricerca, aiuta ad “unire i puntini”, è la tecnologia.

Inutile ribadire ancora una volta come la tecnologia abbia cambiato le nostre vite negli ultimi anni, più utile invece riflettere sul rapporto che abbiamo con la tecnologia, un rapporto che, stando ai dati, tende a produrre una sempre maggiore ansia.

Ansia digitale

In un mondo digitale, molti individui rischiano di perdere alcune certezze acquisite. L’evoluzione tecnologica, molto più veloce di quella biologica, non riesce ad essere metabolizzata. Gli individui si trovano quindi a utilizzare quotidianamente appendici digitali di loro stessi – lo smartphone è ormai parte integrante delle nostre vite – che percepiscono contemporaneamente come necessarie ed estranee. Da qui la sensazione di ansia.

Chi si occupa di marketing deve necessariamente tenere conto di questa crescente situazione di disagio e cercare di interpretarla, grazie a ciò che Kotler definisce “antropologia digitale”.

L’antropologia digitale è lo studio del rapporto tra umani e interfacce digitali e di come gli umani utilizzano tali tecnologie per interagire tra loro.

Dai dati di GWI emerge che la tecnologia produce una crescente sensazione di disagio.

Ansia digitale 2019

La riduzione del prezzo di acquisto dei dispositivi tecnologici, li ha resi disponibili a quasi tutta la popolazione mondiale.

Questo significa che, se agli albori del PC chi lo utilizzava era un soggetto che possedeva anche le competenze tecniche per comprenderne il funzionamento, oggi la maggior parte degli utilizzatori non capisce la tecnologia, per cui, pur usandola continuamente grazie ad interfacce intuitive, inconsciamente avverte un senso di disagio.

Nel 2013 questo riguardava il 15% degli utenti di internet, mentre nel 2019 la percentuale è salita al 24%.

Una delle fonti di preoccupazione è il non sapere come saranno gestite le cosiddette “impronte digitali” ovvero tutti i dati che quotidianamente vengono disseminati nell’Internet dagli utenti.

Il GDPR, fortemente voluto dai Paesi Europei, ha colto quindi un’istanza fondamentale per i cittadini, ha in qualche modo posto un freno alle aziende che raccolgono i dati on-line, ma non è riuscito a dissipare i dubbi e a tranquillizzare gli utenti.


La conquista della fiducia degli utenti è sicuramente la prossima tappa per tutte le aziende che intendono sfruttare le nuove tecnologie per migliorare i risultati aziendali.

Fiducia on line 2019

Ad oggi la situazione è la seguente: gli istituti finanziari e i principali gestori dei pagamenti on-line godono della migliore reputazione, anche se la percentuale di fiducia si attesta a un magro 28%. I motori di ricerca, gli ISP e i Governi sono ritenuti i meno affidabili, subito dopo i Social Network.

Un settore che gode di relativa fiducia è quello sanitario.

L’Intelligenza Artificiale sostituirà i dottori?

Lo studio dedica una parte importante a questo settore, perché è tra quelli in cui, nei prossimi anni, l’impatto delle tecnologie sarà decisamente dirompente.

L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale e della sua capacità di analizzare enormi quantità di dati utilizzandoli poi a fini predittivi, sarà sempre più diffuso negli ospedali in fase di supporto diagnostico.

AI e sanità 2019

La possibilità di usare dispositivi “wearable” per controllare il proprio stato di salute, con uno scambio di dati in tempo reale con a

mbulatori, ospedali o centri di analisi mediche, potrebbe da un lato facilitare il controllo del proprio stato di salute a centinaia di cittadini, dall’altro aiutare a razionalizzare e ridurre la mole di lavoro ripetitivo di medici e infermieri, liberando risorse per le attività dove l’intervento umano è necessario.

Anche in questo caso, i principali ostacoli ad un vasto utilizzo delle tecnologie sono legati – al di là dei costi di realizzazione di sistemi integrati efficaci ed efficienti – alla sicurezza dei dati personali e ad una fiducia ancora limitata da parte degli utenti verso l’Intelligenza Artificiale.


I consulenti finanziari del futuro

Un altro settore che gode di relativa fiducia è quello delle banche e delle assicurazioni, questo anche grazie al fatto che già da qualche anno gli istituti bancari hanno ridotto il numero degli sportelli, spingendo i clienti ad utilizzare ed a familiarizzare con gli strumenti di home banking.

Questo fenomeno potrebbe assumere dimensioni drammatiche nei prossimi 5 anni.

Lo studio “Banche italiane sul piano inclinato” è molto chiaro. “…a parità di condizioni, per neutralizzare la compressione dei ricavi e mantenere la redditività del capitale ai livelli attuali, le banche italiane dovranno ridurre la base costi di circa 5 miliardi di Euro, che corrispondono a circa 70.000 risorse e 7.000 filiali nel corso dei prossimi 5 anni”.

Gli istituti bancari dovranno gestire una significativa riduzione e riqualificazione del personale. Molti impiegati dovranno acquisire competenze da consulenti finanziari, ma tali consulenze, sempre in ottica di riduzione dei costi, saranno probabilmente garantite soltanto ai grandi capitali, lasciando i piccoli risparmiatori in mano a interfacce digitali, quali chat-bot “intelligenti” ed “empatici”, capaci di fornire risposte e suggerimenti su investimenti e risparmi.

Ecco quindi emergere un altro elemento importante dallo studio di GWI.

La tecnologia, che in questi ultimi anni ha contribuito, in parte, a ridurre alcuni divari sociali con Internet, sembra che in futuro prossimo possa renderli invece più evidenti.

Mi spiego meglio: è noto che una interazione personale richiede un coinvolgimento emotivo maggiore rispetto ad una interazione uomo-macchina. Quindi un cliente che vuole evitare interazioni emotivamente difficili, preferirà relazionarsi con la sua banca tramite messaggi istantanei, social media o altre interfacce elettroniche. Lo studio GWI evidenzia come negli USA, siano soprattutto le classi più agiate a sentirsi a proprio agio nel relazionarsi con persone fisiche (52%), mentre chi ha un reddito inferiore e solitamente un inferiore livello di istruzione, cerca di evitarlo (42%).

Questo divario sembra destinato ad aumentare col tempo: le fasce sociali più deboli saranno sempre più dipendenti dalla tecnologia e quindi sempre meno in grado, emotivamente e culturalmente, di relazionarsi con le altre persone. Questo già dai primi anni di vita.


Potersi disconnettere sarà uno status symbol?

opting out as a status symbolSecondo i dati di GWI, i figli delle famiglie meno abbienti trascorrono il doppio del tempo sui dispositivi elettronici rispetto alle loro controparti in famiglie benestanti.

Nonostante numerosi studi inizino a sostenere la necessità di limitare, se non eliminare del tutto, l’uso dei dispositivi elettronici durante i primi anni di vita dei bambini, al fine di preservare le capacità creative e cognitive dei bambini, le famiglie che non si possono permettere attività alternative per i propri figli e non hanno la capacità di educarli diversamente, sceglieranno i monitor dei tablet e degli Smartphone come un surrogato a poco prezzo delle baby sitter.

La “dipendenza dalla tecnologia” diventerà un elemento distintivo delle classi meno abbienti o meno istruite, mentre la possibilità di disconnettersi diventerà una sorta di status symbol.

Conoscere i clienti, anche e soprattutto nelle profonde motivazioni che guidano i comportamenti sociali e di acquisto è la base di ogni politica di marketing efficace.

I dati presentati da GWI, sono una base interessante su cui costruire alcune ipotesi di antropologia digitale.

Da qui, chi si occupa di marketing può intraprendere alcuni percorsi di approfondimento tramite azioni di social listening o di “netnografia” ossia di etnografia applicata ai gruppi e alle comunità on line e identificare le migliori strategie per approcciare una nuova comunità di clienti iper-connnessi e mediamente ansiosi.